top of page

a cura di Pietro Spadafina, 2012

"È da uno scrigno universale che emergono gli elementi per la ricomposizione dell’immagine. Dal buio si fanno luce, lampo, i segni, i tratti e vanno a delineare con completezza di particolari l’intero. L’opera di Michele di Erre, se pur bloccata come immagine ferma in un foglio, è però un vero universo magmatico di quanto egli ritrae a occhi chiusi. La mimica, le sfumature dell’abbassarsi delle ciglia, la piega della bocca e tutti gli innumerevoli codici della personalità del soggetto ritratto si condensano in un disegno armonizzato da un inconscio, il suo, che si fa contenitore della sostanza multiforme del disegnatore e del disegnato. La matita non perde quel quid di subliminale che l’occhio umano trascura o si rifiuta di vedere, ma amplifica anzi la consistenza, armonizzandola ad un tutto che si specchia, forse inconsapevolmente, nell’altro sé, nell’alter ego dell’artista indagatore. Appare chiaro che il disegno ad occhi chiusi non è il tracciato di una forma-oggetto visibile, ma piuttosto l’eliminazione di uno schema tangibile del concreto. Attraverso l’amplificazione è la spiritualizzazione dello spazio occupato dal soggetto. Altre componenti, che sfuggono normalmente a un tempo determinato, vengono invece individuate precisamente, cosi che il momento conclusivo dell’opera è il divenire di un ritratto senza tempo, nel quale convivono passato e futuro. Il disegno ad occhi chiusi è quindi l’opera dell’inconscio, sia l’inconscio dell’artista che l’inconscio dell’interlocutore altro, i quali, incontrandosi in un tempo senza luce, si autoilluminano e rivelano le più nascoste ombre che la vita razionale solitamente cela all’essere umano."




0 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page